J. J. Rousseau

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I grandi diritti dei bambini. Mai così violati

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La Convenzione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza è la più ratificata della Storia: da quando ha visto la luce, il 20 novembre 1989, a New York, è stata sottoscritta da tutti i Paesi del mondo tranne gli Stati Uniti. È anche la più disattesa: a ogni latitudine, non escluse quelle più prossime. Non escluse neppure le nostre: l’Italia, il 27 maggio 1991 (con la legge n. 176) ha accettato di uniformare le norme del diritto interno a quelle della Convenzione ma i bambini neppure da noi sono al riparo. Non dalla fame, se nel 2022 l’Istat ha stimato in un milione e 270mila i minori che vivono in povertà assoluta: mangiano quando riescono, se hanno una carie se la tengono, sopportano il freddo e qualche volta il buio. Per restare ai diritti elementari. E siamo nel G7, nel club degli Stati economicamente avanzati del pianeta.

Ma il posto peggiore dove crescere, per un bambino, è la Repubblica Centrafricana, che nel 2020 ha strappato il poco ammirevole primato al Niger, altro Stato negligente – per usare un eufemismo – nel garantire ai più piccoli condizioni di vita accettabili. A partire dagli articoli che parlano del diritto alla vita (in Centrafrica 13 bambini su cento muoiono prima di aver compiuto cinque anni), all’istruzione (solo il 49% degli alunni completa il ciclo dell’istruzione primaria), alla salute (pochi possono permettersi di pagare le cure, si ricorre più a guaritori e fattucchiere che agli ospedali), a essere protetti dagli abusi (la violenza sessuale è più che diffusa come pure i matrimoni precoci) e dalle guerre (ne è in corso una da dieci anni). Con sfumature diverse ma poco diversa intensità gli stessi problemi riguardano gli altri Paesi dove l’infanzia è invivibile: i meno virtuosi sono tutti africani, tutti firmatari della Convenzione, nessuno impegnato a rispettarla. Niger, Ciad, Serra Leone… Per non parlare del diritto alla vita: in Centrafrica 13 bambini su cento muoiono prima di aver compiuto cinque anni. Ma hanno visto la luce: l’Organizzazione mondiale della sanità stima che ogni anno 121 milioni di gravidanze (quasi la metà del totale) non sono volute e 6 ogni 10 di queste hanno come esito l’interruzione. Nel 2022 gli aborti sono stati 44 milioni.

Le bambine pagano spesso un prezzo più alto: nei Paesi dell’Africa centrale e occidentale ci sono quasi la metà delle morti totali annue causate da matrimoni precoci e il tasso di mortalità tra le mamme adolescenti è quattro volte superiore a quello di qualsiasi altra parte del mondo. Neppure in Asia meridionale le bambine giocano come dovrebbero, costrette a essere mogli e madri ben prima di quanto sarebbe giusto: ogni anno si contano 2.000 decessi legati ai matrimoni infantili, in pratica sei al giorno che si riducono a due – sempre troppi – in Asia orientale e nel Pacifico, in America Latina e nei Caraibi. Ci sono, poi, Paesi come l’Afghanistan che i diritti, soprattutto alle donne, li negano apertamente, si fanno un vanto di impedire alle bambine e alle ragazze di frequentare scuole e università. Nascere donna, lì, davvero è un danno. Un po’ come in Iran, dove a un’adolescente basta togliersi il velo per rimetterci la vita.

Apriamo il capitolo delle guerre? L’articolo 38 della Convenzione è dedicato espressamente al diritto dei bambini e degli adolescenti a venir protetti in caso di guerra, a non essere arruolati prima di aver compiuto i quindici anni (che sembrano comunque troppo pochi). A Gaza, però, di bambini ne stanno morendo a centinaia, altri sono stati uccisi in Israele dai terroristi di Hamas. Da una parte e dall’altra delle barricate queste piccolini colpe non ne hanno: un’inutile strage. Una di tante: nel mondo, in questo momento sono in corso 170 conflitti, stando ai dati all’Uppsala Conflict Data Program, un programma di ricerca sui conflitti realizzato dall’Università svedese di Uppsala. La qual cosa porta a circa 468 milioni i bambini che lo scorso anno vivevano in una zona di conflitto, 13 milioni in più rispetto al 2021. E poi ci sono i tanti minori costretti a scappare dal loro Paese: secondo uno dei consueti aggiornamenti di Save the children, nel 2020 i migranti nel mondo erano circa 281 milioni, il 3,6% della popolazione mondiale, e di questi circa 36 milioni erano (e probabilmente saranno ancora, per la gran parte) minori. A molti di loro sarà toccato lasciare genitori, fratelli e amici o, peggio, vederli morire. Cos’avranno subito nel corso dell’itinerario forzato? Quanti dei loro diritti saranno stati calpestati?

L’articolo 32 è dedicato al lavoro: garantisce – dovrebbe garantire – il diritto a non svolgere lavori pesanti e pericolosi o che impediscano di andare a scuola ma l’Organizzazione internazionale del lavoro racconta un’altra storia; il lavoro minorile riguarda 152 milioni i bambini e adolescenti, metà di essi, 73 milioni, sono costretti in attività di lavoro pericolose che mettono a rischio la salute, la sicurezza e il loro sviluppo morale. Vengono ignorati anche diritti all’apparenza banali: quanto è difficile dare un nome a un bambino? Nel mondo ce ne sono almeno 166 milioni che non sono mai stati registrai all’anagrafe. Ma l’articolo 7 della Convenzione parla espressamente del diritto al nome perché senza non esisti. Non esisti per il governo né per la legge, senza prove che ne attestino l’identità, i bambini non accedono all’istruzione, alle cure mediche o ad altri servizi di prima necessità. In Bangladesh, India e Nepal molti progressi sono stati fatti in proposito, come certifica l’Unicef. Nessun progresso – anzi – nella maggior parte dei paesi dell’Africa subsahariana: Etiopia, Zambia e Ciad hanno i tassi di registrazione alla nascita più bassi al mondo. Un simile panorama fa risultare una favola gli articoli che si soffermano sul diritto dei più piccoli a giocare, a partecipare alla vita culturale, a essere informati a godere di spazi di riservatezza anche all’interno dell’ambiente familiare, a esprimere la loro opinione: finiscono per sembrare un lusso. Ma nessun diritto lo è.

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